Il surrealismo gentile di Gianni De Conno
Questa è una storia su Milano e sugli orizzonti sconfinati che contiene.
Questi orizzonti sono dentro la mente di un milanese. Io l’ho conosciuto e adesso vi racconto.
Ogni volta che penso a Milano, io che sono provinciale, penso a gente affannata che ha fretta, indaffarata e scorbutica. Me la immagino come la descriveva incazzato Luciano Bianciardi ne ‘La vita agra’:
‘un fiume di persone: tetri e ingobbiti gli uomini, ritte e secche le donne, la testa alta, la faccia immobile, tranne un ritmico vibrar delle gote, per il contraccolpo dei passi rigidi sui tacchi a spillo’.
Poi, con il tempo, qualche milanese vero ho incominciato a conoscerlo e non mi è più sembrato che andassero tutti di fretta.
Anzi, mi sono fatto l’idea che qualcuno di questi milanesi possa addirittura tenerlo fermo il tempo e che quando lo incontri le ore fluttuino senza mai avanzare, senza mai consumarsi. Il tempo è un’illusione e per qualcuno non esiste affatto.
È un po’ quello che succede ai personaggi che vivono nelle illustrazioni di Gianni De Conno: per loro il tempo è sospeso in un infinito presente, di cui si può solo intuire il futuro.
Sembrano còlti in un momento di attesa o di riposo, alle volte in procinto di compiere la loro azione, mai nell’atto di farla, oppure assorti in riflessioni profonde. Sono come dei manichini, i cui volti indefiniti tradiscono raramente dei connotati ben riconoscibili (e quando succede è per esigenza dell’editore, mai dell’artista).
Le sue illustrazioni evocano misteri e dubbi, fornendo al lettore la possibilità di far galoppare l’immaginazione senza che l’illustratore mostri niente di più che un accenno per la narrazione, un atmosfera, un suggerimento.
E Gianni De Conno è il padre perfetto e amorevole del suo sospeso mondo illustrato: ha i modi semplici e garbati di un gentiluomo di altri tempi, parla sempre a mezza voce e il suo sguardo fugge spesso verso i mondi che rappresenta da tanti anni. Ha vinto premi prestigiosi all’estero, ha un pubblico che lo segue e che lo ama, i suoi lavori sono apprezzati in tutta Europa e Oltreoceano. Eppure in lui non ci sono vezzi da artista, divismi da primadonna, atteggiamenti da guru, ma una ricerca costante di essenzialità.
Nei modi, nel parlare, nel dipingere.
D’altronde crede che la semplicità non solo non sia banale, ma nemmeno facile.
E odia i semplificatori.
Lo incontro una prima volta perché dobbiamo preparare il libro su di lui che pubblicherò nella collana Visual di Alkemia Books. Sta per traslocare dallo studio che ha condiviso per anni con altri illustratori.
Ci sono delle grandi finestre che illuminano le stanze e nonostante si sia al piano terra della Milano grigia si vedono pure degli alberi di là dalla strada.
Lo spazio è quasi tutto occupato da grandi scrivanie che circondano lo spazio di lavoro di ogni illustratore, ma è vuoto perché ognuno ha già portato via le sue cose.
Siamo immersi nel bianco.
Il tavolo di De Conno è immacolato. Sono venuto a trovarlo altre volte e non l’ho mai visto sporco.
Anche quando l’ho visto lavorare con acrilici e pennelli non si è mai sporcato la camicia.
Non indossa un camice come fanno tanti altri.
E l’ho visto spesso stare fermo con la matita immobile, a pensare: lo guardavo e aspettavo il momento in cui avrebbe iniziato a dipingere o disegnare.
Scrivendo questo libro e ascoltandolo raccontare il suo modo di lavorare, ho capito che in quei momenti lui stava già costruendo l’illustrazione dentro la sua testa.
Ed è questa la cosa che mi ha colpito di più: la sua lucidità nell’essere artista.
Ho capito che riesce a trasformarsi in uno strumento quasi neutro per la sua ispirazione: la prima immagine che si forma nella sua testa è molto simile a quella che metterà su carta.
Come se non avesse condizionamenti, come se in lui scorresse un fluido magico che trasforma il sogno in idea e l’idea in sogno quando lo riporta su carta, tela o schermo…
È assolutamente padrone della sua tecnica che asserve alla sua ispirazione senza mai indecisioni.
Infatti De Conno non corregge le sue illustrazioni. Le cancella, e le rifa.
Nel libro si parla degli orizzonti sconfinati di molte sue illustrazioni. Ho pensato che deve essere stato di conforto immaginare queste scene di calma sospesa in un luogo così rumoroso e invadente come Milano.
Il mio sogno è che i bravi illustratori siano conosciuti – e riconosciuti – dal grande pubblico. Perché la loro arte è popolare e lavorano per essere in sintonia con il pubblico: le loro illustrazioni vanno sui libri, sui poster, sulle pubblicità e in un sacco di altri posti che tutti vedono.
Ci circondano e in alcuni casi, come questi, ci ricordano che l’immaginazione è uno dei poteri più incredibili che abbiamo a disposizione per cambiare le nostre vite. Anche se siamo a Milano e l’orizzonte è coperto da sequenze interminabili di palazzi.
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