Il monumentale Brad Holland che cambiò l’illustrazione
“Come Pollock ha ridefinito l’arte plastica, così Holland ha radicalmente cambiato la percezione dell’illustrazione”. Steven Heller, storico art director del New York Times
“Uno dei più influenti illustratori del Ventesimo secolo.” Bea Jackson, art director del National Geographic
Pochi artisti possono vantarsi di aver cambiato una disciplina artistica, la sua concezione e il suo utilizzo: Brad Holland è uno di quei pochi che hanno dedicato la loro vita a nobilitare l’illustrazione e a renderla intelligente oltre che bella.
Nato in Ohio, lontano da ogni contatto con l’arte alta, si nutre di fumetti e capisce da autodidatta che il suo futuro sarà disegnare, anche senza sapere bene come. L’unica cosa di cui si nutre sono i fumetti, così a sette anni prova a riscrivere sotto forma di comics l’Iliade. Imparerà a dipingere con ciò che ha a disposizione (tipo vernici da aeromodellismo) e cercando di ripetere i segni e le tecniche che vede sui libri, senza però capirle: racconta che dopo aver visto alcune immagini di Rubens, quasi impazzisce nel cercare di riprodurre a china quel tratteggio e quei segni che vedeva sulle pagine, prima di capire che sono incisioni e che non potrà mai ripetere quei tratti con il disegno. Si iscrive all’Accademia, ma la abbandona dopo poco, si trasferisce in una grande città, Chicago, e dopo aver lavorato in un negozio di tatuaggi, fa da assistente ad un affermato pittore (che lavora con gli acquerelli). Più tardi entra in uno studio di animazione, dopo essere stato rifiutato dalla Disney, e poi si trasferisce a Kansas City perché assunto dalla Hallmark (quella dei biglietti di auguri) dove impara a lavorare sui concetti e sulle idee che stanno dietro ai disegni e a padroneggiare il processo produttivo.
Quando poco più che ventenne, nel 1967, giunge a New York ha già un’idea precisa di quello che vorrà diventare e un’approccio al disegno che è già rivoluzione. Lo capisce per primo l’art director di Playboy (rivista per soli uomini con contenuti tutt’altro che banali: ci scrivono autori affermati e l’erotismo è solo una parte di quei contenuti). Come racconterà, per mantenere un appartamento a Soho negli anni 70 bastavano un paio di commissioni al mese e c’era tutto il resto del tempo per sperimentare, studiare e pensare ad una nuova filosofia dell’illustrazione.
Per Playboy realizza tantissime illustrazioni, molte a colori: temi erotici e sarcastici, sempre intrisi del suo acuto pensiero critico sulla politica e sulla società. La sua pittura (al tempo perlopiù ad olio) non è ancora così originale come negli anni a venire, ma ribalta già molte delle convenzioni del mondo dell’illustrazione, sperimentandone usi e tecniche che sopravviveranno fino ad oggi.
Brad Holland non sa accontentarsi e così si stanca presto del suo modo di disegnare e dipingere: vuole evolversi (sarà una delle costanti della sua carriera) e prepara la sua prima svolta stilistica. Erano i tempi in cui le riviste erano stampate per lo più in bianco e nero (a parte Playboy appunto), così come tutti i quotidiani. C’era bisogno di saper disegnare, di usare i tratteggi, le linee, l’inchiostro per essere un illustratore da periodico. E per riuscire ad emergere ci si doveva confrontare con i mostri sacri del passato e quelli del presente (i minimalisti Steinberg e Blechmann, ad esempio). Holland decide allora per il bianco e nero: sa che per le illustrazioni delle pagine interne c’è più mercato che per quelle di copertina e gli art director sono più rilassati al loro riguardo. Il tratteggio selvaggio dei suoi bianconeri (potenza dell’autodidattica) lo rende famoso a New York, anche se i detrattori sono molti – lontano com’è da qualsiasi correttezza accademica – e, se Playboy resta disarmato da questo cambiamento, il New York Times ben presto si accorge di lui, gli dà piena fiducia e lo fa diventare un tutt’uno (per qualche decennio ancora) con gli Open Editorial del quotidiano. È solo il 1972. E Brad non è ancora trentenne.
I suoi disegni esasperati, vigorosi, pieni di uomini e donne tormentate o di creature mitologiche fantastiche, rappresentano una vera novità per l’illustrazione: una sorta di figlio moderno del surrealismo cinico di Topor e della magniloquenza di Gustav Dorè, un Dürer più scatenato e febbrile, un Leonardo fatto di eroina (per quanto Brad fosse sobrio). Perfetto per quegli anni. Tanto che nel 1977 il New York Times lo candida per il Premio Pulitzer, riconoscendo alle sue immagini, spesso brutali, una forza e una profondità mai viste in una illustrazione. È come se riuscisse a fondere la corrosività delle vignette (quelle europee otto-novecentesche) e la drammaticità del Goya più disperato (quello dei Capricci o delle Pinturas Negras), mischiando il tutto con una visione politica e sociale sempre molto acuta e lucida, seppure mai moralistica o stupita: come i migliori artisti solleva il velo della realtà per mostrarcelo (metafora che userà spesso nelle sue illustrazioni, quando le popola di imbonitori vestiti da maghi davanti a sipari stellati).
Il giovane Brad ha forgiato il suo pensiero e il suo approccio all’arte mescolando filosofia, spirito d’osservazione, senso pratico ed un’ammirazione mai sopita per la pittura italiana del Cinque-Seicento. La scintilla si accende quando vede su di un libro le riproduzioni della Cappella Sistina e resta colpito da come Michelangelo avesse interpretato il soffio della vita che Dio infonde all’uomo: “poteva renderlo con un bacio, con una bocca dischiusa, ma scelse di farlo invece con il contatto delle loro dita, in una posa delicata e sospesa” facendolo diventare così uno dei simboli più potenti dell’intera storia dell’arte.
Nutrendosi di questi libri, dove ci sono perlopiù riproduzioni di pessima qualità dei dipinti (se ne accorgerà quando visitando anni dopo Roma, resterà ammirato dalla magia degli azzurri nella volta celeste della Cappella Sistina) forma il suo gusto per la pittura, soprattutto per la centralità della figura umana e la secondarietà dei paesaggi (e dei dettagli).
Di nuovo, intorno agli anni 80, decide di cambiare il suo modo di illustrare e propone dei dipinti a colori. I suoi quadri sono fatti di pennellate velocissime, ironia, un tocco di rosso ruggine (sorta di marchio di fabbrica), surrealismo e velature: i suoi vecchi committenti restano scossi, ma il risultato è che lo chiameranno più di prima. Nel frattempo la stampa a colori si sta diffondendo sempre più rapidamente e Brad dimostra il suo fiuto nel riuscire ad anticipare i tempi. Le sue illustrazioni, piene di grossi uomini in cappotto lungo e cravatta (Botero e Moore sono famosissimi in quegli anni), sono talmente incisive che danno vita centinaia di epigoni in tutto il mondo che, per una ventina di anni almeno, contribuiranno a riempire il mondo di uomini dalle fattezze monumentali raffigurati mentre maneggiano perlopiù pillole in ambulatori lunari sotto cieli cupi e crepuscolari o che compiono le loro azioni simboliche in larghi deserti rossi (gli anni settanta ne erano stati pieni, da Antonioni ai Pink Floyd, da Folon a Moebius). Holland aveva introdotto anche un’altra caratteristica nelle sue immagini: allontanando il punto di vista sulla scena (piani lunghi o lunghissimi), i personaggi erano diventati i rappresentanti dell’umanità intera e in questo modo lui poteva mettere in scena – sullo sfondo solo paesaggi aridi (senza mai un albero) – il suo teatrino della condizione umana. E anche questa scelta farà scuola, influenzando generazioni di illustratori fino ad oggi.
Arrivano gli anni Novanta e Brad, sconvolto dai suoi stessi cloni, cambia di nuovo: sporca le sue pitture oppure usa pastelli ad olio, introduce elementi stranianti come personaggi dalle facce fumettose, realizza ritratti, scrive articoli sui giornali e prosegue la sua ricerca utilizzando soggetti sempre meno drammatici e più ironici. Aumenta il numero di creature mitologiche, esaspera il suo personale surrealismo, rende memorabile ogni sua opera: i suoi scarti probabilmente sono migliori della metà delle illustrazioni in circolazione.
Inizia a differenziare anche il formato delle sue realizzazioni: piccole, e vicine al formato commissionato se sono illustrazioni per la stampa, più grandi se sono opere di cui vendere gli originali. Si scopre anche affichiste, realizzando splendidi poster per il teatro Odeon di Vienna o il Chesterton College, mischiando alle sue illustrazioni anche un elegante, personalissimo, tremolante hand-lettering.
Negli anni Duemila dal suo studio di Soho continua a produrre capolavori e vincere premi, raccontando magistralmente il mestiere di illustratore attraverso il suo blog sul bellissimo portale americano Drawger (dove sono invitati tutti gli illustratori più bravi e influenti d’America), un must per chiunque voglia capirne di più del mondo dell’illustrazione. Diventa egli stesso un classico, come i pittori del passato che ha sempre ammirato.
(continua dopo le immagini)Di Brad Holland è importante il pensiero, non soltanto l’opera, anzi è impossibile disgiungere le sue opinioni dalle sue immagini, perché il suo modo di illustrare è assolutamente un atto di pensiero: è una rivolta, uno squarcio nella tela, una capriola, una luce nel buio, qualcosa che ci permette di vedere e capire oltre, di provocare emozioni arcaiche, di risvegliare sogni e incubi dimenticati. Il suo sito è una meraviglia continua e contiene solo una parte rappresentativa della sua opera.
Nel 2005, la Society of Illustrators di New York lo ha inserito nella propria Hall of Fame, a fianco di tutti i più grandi illustratori americani: d’altronde ha vinto numerose Gold Medal (la prima nel 1975) e altrettante Silver, nonché, nel 1991, il prestigioso Hamilton King Award, dato dalla Society alla miglior opera dell’anno realizzata da un membro della Society stessa.
È stato premiato da tutte le più importanti associazioni mondiali: dall’Art Director’s Club di New York a quello italiano e quello svizzero, dalla Biennale dell’Illustrazione di Tokyo al Book Gold Award della prestigiosa rivista fantasy Spectrum, dagli Award of Excellence di Communication Arts alle medaglie della Los Angeles Society of Illustrators, fino alla prestigiosa Society of Publication Designers e a tante altre. È membro dell’Alliance Graphique Internationale, dell’AIGA e della già citata SOI.
Ha tenuto conferenze e mostre in tutto il mondo, insegnato il proprio mestiere con umiltà e passione in corsi tenuti dovunque (io partecipai, con timore reverenziale e orgoglio, al suo primo corso italiano tenuto nel 2010 al MiMaster di Milano).
Diviene anche il promotore della lotta contro l’Orphan Works Act che attacca la tutela dei diritti d’autore per i creatori di immagini: il Congresso USA aveva valutato di approvare una legge che togliesse i diritti riconosciuti ad un autore non immediatamente individuabile; dal punto di vista legale questo sarebbe stato il primo passo perché le grandi major si potessero appropriare dei diritti di riproduzione di migliaia di immagini, togliendo agli autori ogni diritto di guadagnare grazie alle proprie opere. In conclusione, posso solo dire che è talmente vasto il suo mondo e la sua influenza per il mondo della comunicazione visiva, che dedicherò un altro paio di articoli a Brad Holland: uno dove metterò molte delle sue famose citazioni – e sarà una scusa per mostrare altre splendide immagini – e uno sulla sua attività di affichiste.
Alcuni link utili:
la motivazione dell’inserimento nella Hall of Fame della SOI of New York;
un’intervista su Radio 3 in occasione della sua venuta al Salone del Libro di Torino nel 2006;
Altre interviste o articoli
http://www.newyorkartworld.com/commentary/holland.html
http://www.tor.com/blogs/2008/11/brad-holland-interview
http://www.sidebarnation.com/my_weblog/2009/05/brad-holland.html
Un video in cui lo si vede all’opera nel suo studio http://vimeo.com/3129472
E infine, a seguire, altre fantastiche immagini
Ho amato un po’ tutto: i grandi pittori classici, gli impressionisti, la grande tradizione della pittura figurativa americana e la grafica internazionale. E quindi Edward Hopper, David Hockney, Brad Holland, Lorenzo Mattotti, Moebius, Bruno Munari, Tom Wesselmann e una manciata di altri che hanno segnato il mio percorso formativo. Attualmente credo che esistano sempre meno le figure mitiche del maestro e dell’allievo, ma che tra gli illustratori ci sia una contaminazione sempre piu reciproca e di tipo orizzontale.