A ciascuno il suo typo
Siete persone che non fanno caso ai caratteri tipografici? Credete che tutti i quotidiani siano scritti in Times New Roman, che il Comic sia il carattere adatto per le presentazioni in Powerpoint e che l’Arial rappresenti quanto di più futuribile si possa pensare in fatto di scrittura?
Fareste bene a leggere“Sei proprio il mio typo”, un divertente e agile saggio sulla storia e l’uso dei caratteri tipografici, scritto come un utile trattato divulgativo sui caratteri, proprio partendo dai luoghi comuni e da ciò che crediamo semplice e scontato (il menù a tendina che appare in Word cliccando su CARATTERE o FONT).
Lo userò come regalo per molti clienti e amici, anche per qualche parente: dopo averlo letto magari penseranno che il lavoro di graphic designer serva a qualcosa…
Ne parla Belpoliti su La Stampa
Un libro brillante e colto, Sei proprio il mio typo (Ponte alle Grazie, 364 pag., 22 euro) di Simon Garfield, pieno d’informazioni e di storie di uomini e di caratteri, ovvero di font, come si dice oggi, anche se in italiano la parola indica solo i caratteri digitali, ma nel resto del mondo oramai si dice solo così. Le font appartengo a quelle cose importanti ma invisibili. Se si tratta di un buon carattere – ben disegnato, adatto, godibile –, mentre si legge non lo si vede. Nel corso dei 560 anni in cui esistono, questa è sempre stata la regola principale. Ma c’è anche un altro aspetto, il gusto, che poi coincide con la popolarità comprovata dal consumo di massa. Zuzana Licko, disegnatrice californiana, creatrice con Rudy VanderLans di Emigre, la rivista di tendenza che ha ispirato le ultime generazioni di graphic design, sostiene che «si legge meglio quello che si legge di più», dando ragione a uno dei padri della moderna tipografia Eric Gill: «La leggibilità, in pratica, è semplicemente ciò cui si è avvezzi». Facciamo l’esempio di EasyJet: sulle fiancate degli aerei della compagnia è scritto usando il Cooper Black, font utilizzato anche dalle scarpe Kickers. Trasmette, ed è la prima volta, l’idea che un aereo può essere divertimento, e non più precisione, esattezza, serietà. È un carattere predigitale, degli Anni Venti del secolo scorso, quel tipo di carattere «che gli oli di una lampada di lava formerebbero se la lampada andasse in frantumi sul pavimento». Naturalmente è solo un brand, e non un giornale o un libro; del resto, ci sono infatti font che sono destinate a essere viste anziché lette. Frutiger ha detto che «il lavoro del disegnatore di caratteri è simile a quello del sarto: vestire l’immutabile forma umana»; e Alan Fletcher, designer di libri, ha aggiunto: «una font è un alfabeto con una camicia di forza».
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