Visualizzare il virus, ovvero come stiamo raccontando per immagini un nemico invisibile.
Quante volte ci dimentichiamo che la realtà è fatta per lo più di cose che non percepiamo?
Che non vediamo, che non sentiamo, che non possiamo toccare.
“Quasi un secolo di osservazioni astronomiche convincenti hanno mostrato che la materia ordinaria e visibile costituisce solo una piccola frazione dell’Universo. Esso risulta invece formato per la maggior parte da una componente di materia non-visibile, detta Materia Oscura, e da una componente misteriosa di energia, detta Energia Oscura.”
dal sito web dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso (LNGS) ovvero il centro di ricerca sotterraneo più grande e importante del mondo
L’astrofisica moderna ci dice che probabilmente il 95% del nostro universo si compone di Materia Oscura e di Energia Oscura, entità che non riusciamo a misurare, ad afferrare, a comprendere. Sappiamo che ci sono semplicemente perché non possono non esserci, altrimenti non riusciremmo a spiegare come sia fatto l’Universo (che non è lo spazio profondo fuori da noi, ma è ciò che ci contiene e in cui noi, come pulviscolo, galleggiamo).
Eppure ci sorprendiamo ogni volta che qualcosa di così piccolo da sfuggire alle nostre percezioni, si rivela e si dimostra potente, tanto da ucciderci.
Temiamo ciò che è invisibile perché ci appare imbattibile.
Come puoi combattere un nemico invisibile?
Devi usare altri occhi, altri modi di vedere, anzi, altri modi di percepire e comprendere il mondo e la sua complessità.
È un po’ come la paura del buio: ciò che si nasconde negli abissi senza luce del buio ci spaventa perché non vediamo niente. Diventiamo ciechi e dobbiamo affidarci improvvisamente agli altri sensi, che non siamo abituati ad ascoltare granché.
Ecco perché abbiamo bisogno di rendere visibile l’invisibile. E di guardare il virus in faccia.
Da quando il Corona Virus o COVID-19 o Sars 2 come viene invariabilmente chiamato, è apparso improvvisamente nelle nostre vite, ci siamo di nuovo trovati di fronte ad un “nemico” infido, subdolo e micidiale che sfugge ai nostri sensi.
È un qualcosa di così piccolo che è possibile vederlo soltanto al microscopio elettronico (il che significa che è stato visto per la prima volta da poco più di un secolo).
I virus sono una scoperta visiva recente, qualcosa di molto più piccolo di una cellula, qualcosa di così piccolo che lo ignoravamo. Dato che nelle nostre giornate non guardiamo mai un microscopio elettronico, i virus ci sono per lo più sconosciuti: ignoriamo che forme abbiano, come si muovano, come si debbano catalogare all’interno dei vasti regni degli esseri viventi e così via.
Per fortuna, la scienza moderna ci è venuta in aiuto e ci ha fornito l’immagine del virus COVID-19 o Corona Virus.
Possiamo considerare questa come la sua foto ufficiale, “scattata” dal CDC (Centers for Disease Control and Prevention), un’agenzia di controllo sulla sanità pubblica degli Stati Uniti, che si occupa di prevenire e sorvegliare casi di contagio diffuso ed epidemie.
L’immagine, così realistica che sembra di poterla toccare, è davvero affascinante e, in fondo rassicurante, con le sue frappe rosse e il corpo fatto di morbida moquette grigia.
Grazie a quest’immagine possiamo guardare in faccia il virus.
E vedendolo possiamo capirlo meglio: ad esempio capire che la corona è rappresentata dai peduncoli rossi che al microscopio – il quale ci costringe ad una visione dall’alto, schiacciata, simile a quando guardiamo la Terra con Google Maps, facendo apparire il mondo cellulare come un grigio universo piatto bidimensionale – appaiono come una sorta di criniera pelosa che si muove su tutto il bordo del corpo del virus.
È buffo: l’immagine al microscopio è più veritiera del modello del CDC ed è cruda come il miliziano colpito di Robert Capa, eppure preferiamo affidarci all’immagine di un modello tridimensionale simmetrico e armonioso.
Da quel modello iniziale sono derivate le tante rappresentazioni che i media usano per parlare del virus.
Ha qualcosa di familiare.
Assomiglia ad una mazza ferrata medievale e ne evoca quindi ferocia e capacità assassina, oppure alle mine marine, in cui ogni peduncolo è un’innesco per l’esplosione (la metafora pare calzare molto con il comportamento del nostro virus…);
assomiglia ad una pallina di gomma, di quelle con la pompetta che fischia quando la si stringe, con cui giocano i cani e quindi ci comunica la sua mancanza di una qualsiasi cattiva intenzione;
assomiglia ad un cactus e quindi ci rimanda al suo essere parte del nostro mondo, perché non è aliena;
ci rimanda infine all’immagine ingrandita del polline o ad un seme che vaga nel vento e ci svela quindi come si muove, come vola attraverso l’aria e come ad un certo punto si posi e resti lì dove il vento l’ha lasciata.
Quest’ultimo rimando è importante perché non conosciamo cose in natura, fatte in quel modo, se non alcuni piccoli semi (o i loro involucri) che per lo più sfuggono alla nostra attenzione se non quando si impigliano nei vestiti o si infilzano nella pelle.
Quella forma perfettamente sferica e quel corredo così decorativo di peduncoli morbidi è possibile solo in un mondo microscopico. Oppure nel macrocosmo, dove la liscia sfericità di Saturno ci sembra così innaturale, tanto che, nel nostro mondo, per ottenere una palla da biliardo liscia e sferica alla perfezione dobbiamo impegnarci un sacco e non è detto che ci si riesca.
Si scopre poi, come ho fatto io spulciando tra le tante immagini che saltano fuori indagando con Google sulla forma dei virus, che i virus influenzali sono tondi e che il Corona Virus appartiene alla vasta famiglia dei virus influenzali, che contiene anche la temuta SARS come le banali influenze stagionali da combattere con coperte e riposo.
Se il virus avesse il corpo di un’altra forma, apparterrebbe ad altre famiglia e avrebbe altre pericolosità!
Bello il mondo dei virus, non credevo fosse così vario nelle forme
L’immagine fornitaci dal CDC ha proprio le caratteristiche estetiche che ci aspettiamo da un’illustrazione scientifica nel ventunesimo secolo: dettaglio, bellezza e verosimiglianza.
Quando invece mi imbatto nella fotografia scattata al microscopio elettronico, mi accorgo che il Corona Virus non ha l’aspetto di una sfera perfetta, gommosa e peluchosa come un complemento d’arredo di Zara Home: è una massa che cambia forma quando si muove, pare fatta di gel e non ha solidità.
Quest’immagine in bianco e nero mi inquieta e mi fa paura: immagino questo microcoso agitarsi nelle trachee, nuotando beato con tanti altri virus nella sua droplet, ovvero in una gocciolina, una delle tante che sputacchiamo nell’aria ad ogni respiro, starnuto, colpo di tosse e con i quali possiamo infettare chi ci sta vicino, la maniglia della porta, il carrello della spesa, i soldi con cui paghiamo e così via.
La foto microscopica sembra restituirmi la sensazione di pericolosità del virus, non ha nessuna morbidezza, conforto, non ha nessun rimando a cose conosciute: è come un alieno venuto da un altro mondo, un fantasma arrivato da un mondo di incubi, una visione delirante.
L’effetto di quella immagine in bianco e nero è simile all’inquietudine che ho provato quando ho visto il “Nosferatu” di Murnau e che non mi ha preso quando ho visto l’omonimo, e più recente, film di Herzog.
Sono sensazioni diverse: il primo Nosferatu si agita in un mondo di solito invisibile, quello dei crepuscoli dell’immaginazione, progettato nel delirio di un febbricitante o nella visione incubica dell’assenzio; il secondo invece è netto, colorato, tangibile, si muove, disgustoso, come una malattia, nel lucido mondo reale in cui viviamo; non è fatto di materia oscura, perciò, alla fine, pur con tutto il male che può farci, con tutto lo spavento che può procurarci, è parte di ciò che già conosciamo.
È maledettamente reale.
Guarda caso, nel film di Herzog si evoca un’epidemia, la Peste Nera!, anch’essa figlia di un nemico invisibile e subdolo, che, nel film, viene evocato dal comparire dei ratti, inconsapevoli portatori dell’orrenda malattia.
Trasferiamo la paura e l’odio che abbiamo della peste, quindi di un minuscolo batterio, sull’immagine del ratto nero.
Trasferiamo la paura e l’odio che abbiamo della peste, quindi di un minuscolo batterio, sull’immagine del ratto nero. Il corpo della Peste, pur essendo il protagonista del film, non compare mai se non evocato dalla maschera mortifera di Kinski-Nosferatu e dalle scene di persone in agonia.
Non è visibile se non per i suoi effetti, enormi, giganteschi rispetto alla sua microscopica dimensione.
Quello che possiamo fare per capire il virus è imparare a guardarlo.
Le immagini che vediamo del Covid Virus sono sempre più elaborate: c’è un bisogno evidente di rinnovarle per corredare sempre nuovi articoli sul tema, data la produzione continua di informazioni.
Proprio in casi come questi, ci si rende conto che la manipolazione di immagini esistenti è molto più diffusa rispetto alla creazione di immagini originali (funziona nello stesso modo con i contenuti scritti, che rielaborano o si riferiscono a quei pochi articoli/contenuti originali e autoriali). E ci si rende conto di come la manipolazione delle immagini crei una sorta di nuova realtà visiva (se di visione della realtà si può parlare riferendosi al microcosmo di cellule e virus) sempre più distante dalle prime rappresentazioni originali.
Non c’è solo un processo di edulcorazione, perché viene applicata una formula cosmetica che tutto leviga e patina, dai colori alle forme, facendo ormai assomigliare il Corona Virus ad una caramella gommosetta.
Dedicherò uno dei prossimi articoli di Shivu proprio alla varietà di immagini prodotte sul Virus in queste settimane.
L’altro aspetto interessante del guardare il Virus è di come si stia iconizzando, ovvero di come la sua forma si stia sedimentando nei nostri immaginari sotto forma di segno grafico, dato che è facilmente stilizzabile.
Ho preso qualche logo usato da centri di ricerca, pubblicazioni o portali di informazione, trovato in rete per far capire questo fenomeno di digestione e di normazione dell’immagine del virus che si fa icona (in senso informatico).
Due icone del virus prese dal sito Asiam.ie
Icona del virus usata dalla Tennesse Hospital Association THA
Icona del virus usata dal Ministero della Salute Italiano
Icona del virus usata dal progetto Erasmus+
Succederà poi che alcuni creativi, alcuni brand, alcune aziende useranno questi loghi (o li rielaboreranno) per metterli sulle t-shirt, provando a trasformarlo in uno dei tanti ed effimeri miti pop contemporanei.
Ci arriveremo, se non ci siamo già arrivati (ammetto che non ho voluto informarmi, data la gravità della situazione in certe zone d’Italia).
La banalizzazione delle immagini è una delle cose che riesce meglio all’Homo Sapiens.
Arriveremo a quel punto, come ogni volta.
Semplificheremo e depotenzieremo l’immagine del Covid-19: da icona diverrà emoji (forse, mentre sto scrivendo, ha già il suo posto accanto alla cacchetta sorridente) e si potrà sedere sul divano di una “durso” qualunque; a quel punto penseremo di averlo normalizzato, sedato, assorbito e considereremo quella palla con i chiodi di garofano rossi niente più che l’ennesimo tassello della variegata cultura pop che stiamo creando per intrattenerci e per poter scherzare su tutto, galleggiando sulla superficie delle cose senza mai immergerci.
Questo processo di rimasticazione con sputacchio finale di disgusto, credo sia necessario per poter riuscire a maneggiare qualcosa di tanto forte come questo “nemico” invisibile e, in quel momento, ne rinforzerà probabilmente il simbolo: una forma si legherà indissolubilmente a questo tempo strano di epidemia, di malattie, reclusione e incertezza, di cieli visti in rettangoli verticali,
Come al solito trionferà, invece della complessa ruvidezza e irregolarità delle forme della natura, una più semplice vellutata, levigata e patinata visione artificiosa della realtà, come quella che già ogni giorno compone il nostro immaginario di ricostruzioni fittizie e di simboli lontani dal loro significato originale.
Eppure, credo che un modo di Resistere sia anche quello di amare la complessità, al di là di quanto la si possa comprendere.
Ho apprezzato l’articolo…. però la Peste Nera e più in generale la Peste non c’entrano assolutamente nulla con i virus. La Peste è causata da batteri, che sono tutt’altra cosa… ma davvero, non tanto per dire 😉
ciao Fabio, ti ringrazio per il commento, è stata una svista la mia che correggo volentieri.
Per il resto, so di non essere un virologo, magari tu lo sei, ma so che esistono differenze tra batteri e virus, davvero!